domenica 15 agosto 2010

Fabriela Fantato – Codice terrestre – La vita felice 2008

Milo De Angelis nella sua precisa e attenta introduzione definisce questo ultimo complesso libro di Gabriela Fantato come il libro "del destino e della maturità". Si compone infatti di una serie di poemetti che, in stile omogeneo, toccano le originali tematiche, sostanziali a questa poesia.
Proprio per il suo carattere di libro della maturità, tornano qui, non come miti, ma concretamente come radici, molte figure e voci dell'infanzia.
Chi dice che i ricordi dell'infanzia siano luminosi? In queste poesie il sostantivo infanzia è abbinato a due aggettivi deprivativi: infanzia "orfana" (La forma della vita) e infanzia "rubata" (Città in sotterranea). E, ancora, l'infanzia non sarà accolta e amorevolmente compresa ma severamente "giudicata". In questo libro l'età prima sembra una stagione della vita legata all'imposizione di "saltare", sentito non come gioioso rimbalzo di un agile corpo, ma come sfida che non si vuole o non si può accettare, un salto mai imparato. Il rimando è a lezioni di ginnastica quando il corpo s'impuntava, saldamente a terra, se si trattava di superare a comando l'ostacolo, nel salto alla cavallina, mentre il piede invece scivolava via se doveva tenersi in riga, sull'asse d'equilibrio.
Una durezza, una disciplina dalla quale adesso la poesia celebra il riscatto, perché adesso è la poetessa a imporre a se stessa e alla sua scrittura le regole di un codice, che ritorna, con i suoi modi, a quelle origini, senza tradirle, legato alla terra, codice terrestre, come si definisce.

Fin dal primo poemetto Una geometria, forse compare una natura in fiore con piante selvatiche o spontanee: viole, papaveri, edera, corbezzoli. Ma non emerge un mondo multicolore per la prevalenza ossessiva del bianco e del rosso, con graffiature di un terzo colore-non colore, il nero. Ho scritto di questo libro, altrove, come di una bicromia in bianco e rosso, una sanguigna dove il bianco è la figura in luce, il rosso segna le zone d'ombra. Mille sfumature di significato assume in questo libro quel bianco che tutto lo attraversa.
Un'incisione, dunque, a puntasecca. Tagliare, incidere, scavare col bulino, col coltello. Quest'ultimo lo troviamo anche in cucina, sulla tavola apparecchiata, suo luogo naturale, ma tradisce la sua natura di arma, che può produrre la ferita, far scorrere il rosso sangue. Tradisce la sua natura di simbolo e metafora di rapporti umani taglienti. Ma coltello è anche, come abbiamo sopra notato, strumento che ritaglia, definisce, incide, segna la nettezza dei contorni. Questo album in bicromia rimane sombre perché la vita che descrive è segnata dalla forte consapevolezza del processo lineare del vivere. Di questa ineluttabile direzionalità sono l'immagine – in più luoghi – le formiche come linea che si getta in un nero buco del terreno (pag. 58)

Sappiamo che la poesia di Gabriela si è sposata più volte alla musica, non conosciamo che tipo di musica, immaginiamo percussioni e fiati, suoni delle gamme estreme della scala, per un verso che è tutt'altro che cantabile. Sono rime scabre, e non uso l'aggettivo a caso. Verbi e aggettivi (come"sghembo") sono scelti con preferenza sui loro sinonimi per una certa predilezione per l'esse impura iniziale: scordare a preferenza di dimenticare, scorrere, (dove quell'esse impura in inizio della parola ha sicuramente un valore onomatopeico), scivolare (scivoliamo nel passo sulla trave, / come alle elementari), slabbrare (anche la città si slabbra), stagliarsi, spezzare, spaccare, dove sulla doppia consonante iniziale la voce fa forza a rendere lo sforzo dell'azione che designa.
Sono rime petrose, dove l'emozione è sempre trattenuta e sempre poggia sulla corporeità, di preferenza facendo riferimento a parti del corpo dove, sotto la pelle, l'osso sia visibile, parti del corpo aguzze, come, zigomo, gomito, spalle. Queste ultime in particolare sono sentite come la parte del corpo dalla quale si è indifesi, dove si può essere attaccati.

E' come se, dato un caos emozionale, la necessità di fare ordine, diventi obbligo di creare geometrie – sebbene si tratti di geometria del dolore (pag. 50) – geografie, carte dai confini determinati, consultabili.
Nel poemetto sul tema dell'eros Un bacio dopo l'ultimo trovo molto indicativo che l'esergo sia ripreso da Guillelma di Rosers, una trobairitz del XII secolo che firma, nella parte femminile, un partimen, una tenzone sul tema dell'etica amorosa, con Lanfranco Cigala, dove la donna esprime un ideale intransigente della fedeltà e della dedizione del cavaliere. Quello di Guillelma è tuttavia un "trobar leu", una lingua che scorre facile e diretta a ciò che, imperiosamente, vuole affermare, mentre direi che lo stile di Gabriela sia più prossimo a un "trobar clus", d'interpretazione difficile e con riferimenti che solo il destinatario afferra completamente. L'eros (pag. 34) non è pacificatorio, l'immagine è una sorta di continuo incontro-scontro.
Mentre la memoria è sempre presente, per rapide accensioni e rimandi, raramente Gabriela si abbandona all'onda del ricordo. Per disporre sulla pagina frammenti narrativi la memoria preferisce compiere un salto di generazione, alla giovinezza non sua ma di sua madre, alla giovinezza di uno zio mai conosciuto ma di cui la madre le consegna la responsabilità della somiglianza, un'eredità della specie: Tu gli somigli è il conferimento di un privilegio e un'imposizione (Per un Addio).
Segnale dei luoghi della madre è, a pag. 12 e a pag. 60, la pianta del gelso, sono le rane del galleratese.
Luogo del padre è in vece il delta del Po, a cui Gabriela ha dedicato altre poesie, il fiume, simbolo forte di ciò che corre a gettarsi lì dove si annulla, come ogni forma di vita.
L'acqua e la città: Milano e i suoi navigli, l'acqua là sotto sembra volere esplodere (pag. 67). Milano può essere pertanto simile alla donna che (pag. 35) contiene fiumi in piena. E' la città teatro del vivere quotidiano, microcosmo dal quale si può ascoltare il racconto della vicenda universale.

La poesia che chiude il libro (A pochi) compendia i diversi temi a cui ho fatto qui, brevemente, riferimento. Tornano il bianco ostinato, la strada rossa. In particolare il tema del taglio, dell'incisione a puntasecca. Solo nel taglio esatto /a volte riposo, sono le parole conclusive del libro, una sorta di sintesi della poetica di Gabriela Fantato, ma anche asserzione di forte valenza esistenziale.

Piera Mattei


Apparso sulla rivista di poesia internazionale "pagine" n.61 anno XX

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