venerdì 25 marzo 2011

Inventarsi una nuova patria di Piera Mattei

Il 22 marzo scorso la casa editrice Manni ha organizzato la presentazione di una sua nuova pubblicazione: la traduzione italiana, a cura di Daniela Bonerba e Angela Liguori di Addio Babilonia, dello scrittore canadese di origine irachena, Naim Kattan. Walter Pedullà offriva una sua interessante analisi che collocava questo romanzo nelle autobiografie condivisibili, cioè tra le autobiografie che escono dai margini del sé, aprendosi all'identificazione di una pluralità, di un "noi".

Il libro è quindi inserito nella collana Plurale a buon motivo, essendo l'opera in ogni senso polivalente.
Infatti Naim Kattam, che oggi si proclama canadese di lingua francese, non solo è nato a Bagdad, ma era ed è membro della comunità ebraica che abitava Babilonia dai tempi di Nabucodonosor, molto prima quindi che gli arabi vi si stanziassero. Una cultura che – l'autore, presente alla biblioteca Rispoli lo scorso 22 marzo ci tiene a ribadirlo – precede la divisione della nazione ebraica in askenaziti e sefarditi, come del resto la comunità ebraica romana, che ha rituali molto simili a quelli babilonesi.
Quella comunità parlava un arabo con forti connotazioni del gruppo di appartenenza: Kattan vi fa riferimento, proprio all'inizio di questo romanzo autobiografico, che copre gli anni dell'adolescenza, agli inizi degli anni quaranta. Erano gli anni che avevano scandito prima il trionfo del nazifascismo, poi la seconda guerra mondiale, e gli echi di quella in medio oriente, più forti di quanto un'analisi storica eurocentrica potrebbe far congetturare. I giovani ebrei iracheni, che non avevano saputo direttamente di persecuzioni, e contro il parere degli anziani, erano spregiudicatamente favorevoli ai nazisti, e quasi affascinati da quei biondi disciplinati soldati che, speravano, li avrebbero aiutati a liberarsi dall'oppressione inglese.

Oggi che l'Iraq ha conosciuto profondi cambiamenti e l'esodo quasi totale dei suoi ebrei in Israele e in altre parti del mondo, questa autobiografia è anche la tessera di un mosaico che forse solo la memoria di singoli individui riesce a collocare nel complesso disegno storico. Si può leggere infatti secondo tre focalizzazioni spazio-temporali.
La prima è quella dell'Iraq degli inizi anni quaranta, di cui abbiamo accennato, cioè il tempo a cui torna il ricordo, tempo in cui l'adolescente era quasi inconsapevole di rientrare attivamente nel processo politico, mentre tuttavia aveva una profonda consapevolezza del suo corpo e della sua mente in rapido sviluppo. Nel ricordo sono quelli gli anni di un apprendistato culturale ed erotico d'importanza assoluta. Più determinante ancora che la passione per le donne, o meglio, più caratterizzato dalla scelta personale rispetto ad impulsi soprattutto naturali, appare al lettore l'amore per la lingua francese che gli aprirà l'accesso a una nuova identità, non più mediorientale, ma occidentale, anzi québéqois, con dislocazione certo impensabile per i suoi antenati babilonesi. Kattan afferma, che dalla partenza narrata nelle ultime pagine del libro, non ha mia più fatto ritorno nel luogo che lo vide nascere: la prima identità non sarà condivisa con la nuova, non sarà scandita, come per molti esuli, da periodici ritorni, ma tutta interiorizzata e dispiegata nell'ambito di una nuova comunità multietnica, accogliente e plurale, come si vanta di essere la cultura canadese.
La seconda focalizzazione spazio-temporale è appunto quella del Canada francese, Montréal, della metà degli anni Settanta, tempo e luogo in cui il libro viene scritto, che coincide con la piena maturità dello scrittore e con l'acquisizione di uno sguardo in ogni senso distaccato. La distanza, ma soprattutto la traduzione dei sentimenti e delle esperienze in un universo linguistico "altro", conferiscono al racconto quel velo di epos personale, di sorridente compiacimento per la conclusione positiva delle avventure anche più tragiche, che fanno di questo libro, una narrazione anche leggera.
Infine la terza collocazione spazio-temporale è quella dell'Italia del 2011, dove questo racconto giunge per la prima volta in traduzione, con l'ottimo viatico di una prefazione di Bernardo Valli, accompagnato dalla presenza fisica del suo autore e con tutte le implicazioni che la storia successiva ha dato alla storia dell'Iraq e alla storia degli ebrei nel mondo. Addio Babilonia arriva nelle nostre librerie in un momento in cui, meno che mai, possiamo ignorare la realtà del medio oriente e dei paesi a maggioranza islamica. Vi plana, come dicevo, con una sua leggerezza letteraria, la giovinezza di un adolescente che ha fiducia in se stesso e ora è un uomo, uno scrittore più che ottantenne, dallo spirito e dall'aspetto vivace, che ancora si riconosce in quel ragazzo e nella sua decisione di partire inventandosi una nuova patria.

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